Alfredo Gianolio - Gianni Baldo

GIANNI BALDO
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Alfredo Gianolio

Gianni Baldo. Nella storia oltre il quotidiano

L’avventura artistica di Gianni Baldo è passata attraverso le varie sperimentazioni della neoavanguardia senza tuttavia mai rimanere impigliata nelle sue reti, che di volta in volta si sono mostrate in manierismi scanditi da mode passeggere, di facile orecchiabilità ma di altrettanto facile disincanto. Un linguaggio, il suo, che si è prodotto in diverse articolazioni, ma procedendo da espressioni astratto-materiche con una netta declinazione concettuale ad una sempre più distesa ed emblematica rappresentazione per immagini di taglio onirico, sul crinale dell’irrealtà. Questo immaginario mantiene due fondamentali coordinate: il rapporto col territorio, per dare concretezza e significato alla spazialità, e quello con la propria interiorità, in una ricerca che, attraverso l’anamnesi riannodi il passato al presente svelando costanti nel
nostro essere, elementi di angoscia, di ambiguità, di insicurezza, invano dissimulati. Baldo si trova agli antipodi del linguaggio introdotto dalla Pop Art, tutto accentrato sull’oggetto recuperato e proposto in maniera diretta, senza alcuna mediazione e privo di qualsiasi condizionamento spaziale. Baldo ha reagito contro questa tendenza americana che ha brutalmente negato le strutture della comunicazione visiva di impianto classico, avente nella definizione dello spazio, operazione prima ancora mentale che fisica, e nel significato multiplo dell’immagine, al di là di una banale topologia, le sue coordinate. Vi è anche il rifiuto della quotidianità nel nome di una concezione storicistica per la quale passato e presente si annodano e si illuminano vicendevolmente di significati, di rimandi lessicali, di inquiete complicità. Si può dire che Baldo non presti alcuna attenzione al quotidiano, inteso come cronaca, momento che fugge, precarietà e transizione, anche se la sua è un’apparente distrazione. Non attribuisce alcuna importanza - andando contro corrente – all’assunzione, all’interno dell’operazione artistica, dei dati oggettivi che la nostra società consumistica ci propone insistentemente e in modo parossistico, con la complicità dei mezzi di comunicazione di massa.
Gli oggetti di serie e di uso comune, l’insieme dei linguaggi tecnologici esemplati dal cinema, dalla televisione, dalla pubblicità, che hanno attratto tanti artisti del nostro tempo, con finalità ironica, dissacratoria o con semplici intendimenti propositivi, sono completamente estranei alla comunicazione visiva di Baldo. Ma sarebbe erroneo dedurne che egli intenda con ciò estraniarsi dalle problematiche del nostro tempo. Egli anzi ne coglie gli aspetti più profondi, andando oltre la superficie della cronaca quotidiana, per mostrarci attraverso una simbologia essenziale, l’angoscia che turba la nostra vita, in uno scenario desolato, popolato da cavalli in fuga, da mostri tentacolari, da personaggi che percorrono lande deserte (rese tali dall’insensato comportamento dell’uomo) innalzando le braccia in segno di sconforto, in una richiesta di aiuto, collaborazione, solidarietà dagli altri esseri umani, per affrontare insieme i problemi del difficile viaggio della vita. Dominante è la figura a cavallo che collega il passato al presente, ci fa partecipi di un processo storico giunto al capolinea, oltre il quale si apre un abisso. Nel cielo di un azzurro opaco la luna o il sole appaiono deformati, hanno perduto la loro rotondità che suggerisce un’idea di perfezione; ci appaiono corpi celesti lacerati, anch’essi, come gli umani, in atteggiamento di fuga, verso mete sconosciute, seguendo un destino implacabile. Baldo non crede che nel linguaggio si esaurisca ogni funzione artistica.
“C’è bisogno di verità – dice – non solo di strutture e di segni. La forma, nelle sue valenze di alta decorazione, da sola non mi appaga. La mia ambizione è di essere testimone del mio tempo, oltre valenze semplicemente estetiche. E per raggiungere questo scopo rendo essenziali le immagini, tolgo il superfluo secondo una concezione antitetica a quella tradizionale che insegue l’edonistico scopo dell’impreziosimento attraverso continue addizioni segniche e cromatiche in preda a un ‘terror vacui’ di ascendenza barocca”.
Ma se Baldo rimane fedele alla cultura dell’immagine, è pienamente partecipe della rottura prodotta sul piano dell’uso di nuove tecniche artistiche, attraverso il collage, il riutilizzo di materiali poveri, come la iuta, la pelle, il legno, il sughero, non tanto per produrre effetti di spaesamento, ma per recuperare una loro valenza timbrica in accostamenti tonali che la densità materica e gli spessori in rilievo rendono preziosi nell’economia del quadro. L’antico e il moderno si coniugano permettendo una
lettura dell’opera che rende partecipe il fruitore coinvolgendolo nell’esplorazione del mondo.

Reggio Emilia, gennaio 1993
Dal catalogo della mostra “Il tempo delle trasformazioni”



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