Franco Solmi
Gianni Baldo
Una logica serrata, a volte perfino implacabile, conduce il lavoro di Gianni Baldo, artista appartato ma non trasgressivo rispetto al colmo della vita culturale e all’intrecciarsi delle proposte linguistiche cresciute sull’onda delle ricerche d’avanguardia. Intendo dire che questo sottile manipolatore di moderni strumenti d’immagine, pur trovandosi a vivere e ad operare in luoghi di profonda provincia, per lo più caratterizzata da una nobile quanto costringente tradizione naturalistica, sembra essersi subito posto in sintonia con le più avvertite ricerche che hanno segnato gli anni di transizione dall’ondata informale a quelli del recupero dell’oggetto inteso nelle più varie significazioni, dal “pop” al concettuale. Ma lo ha fatto tenendo ben ferme alcune fondamentali leggi del far pittura, come ad esempio la strutturazione severa dello spazio e lo scandirsi dei valori tonali anche laddove quelli timbrici assumevano evidente prevalenza ...
I reperti oggettuali, che poi diverranno ritagli anche preziosi di tele, sugheri, cuoio, corde e fili metallici, sono in questo momento materia vibrante, parte di una natura che è si “morta” in superficie ma che pulsa di profonde vibrazioni interiori. Ecco ancora “natura naturans” che si contrappone come mistero di energia al disseccarsi del cretto, all’isterilirsi della zolla, alla mummificazione dell’uccello caduto. Così queste opere, forse composte con intenti di denuncia, scontano una loro stranita bellezza, una pace un po’ solenne che le distacca dall’enfasi del gridato informale almeno quanto le sottrae al peso del didascalismo populista. Sono, insomma, opere di sicura misura, eleganti perfino. Misura ed eleganza, unite a riferimenti linguistici e culturali che svariano da una rilettura del futurismo fino alla ripresa di motivi cubisti, da Braque sopratutto, caratterizzano anche la serie degli Strumenti musicali. Sono composizioni raffinatissime ove l’uso del collage, del resto assai discreto, non turba il volgersi di un quieto lirismo, di una pacata poesia delle cose che ritroveremo, più tardi, nelle Composizioni col tricolore di più decisa intonazione “pop”. Probabilmente la inconsueta pratica della
xilografia ha consentito a Gianni Baldo di filtrare per infinite prove e per infinite variazioni i “motivi” che di volta in volta sceglieva per dar corpo ai cicli di cui si compone il suo lavoro. Abrasioni, tagli, sovrapposizioni possono servire anche al dipanarsi di un discorso per simboli, eterna e pericolosa tentazione di questo artista, ma valgono soprattutto, a mio avviso, per dar concretezza ad immagini che restano sostanzialmente astratte, tese cioè al più rilevante ed essenzializzato valore formale. Si vedano le opere dipinte su tela di sacco, fra le quali la più convincente è anche la più pura, juta su juta, composte verso la metà degli anni Settanta, ove i richiami alle fantasie solari di Mirò si sposano con una straordinaria asciuttezza e corposità della forma-colore...
Bologna, febbraio 1985
Dal catalogo della mostra “Gianni Baldo, 1964-1984”