Marzio Dall'Acqua - Gianni Baldo

GIANNI BALDO
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Marzio Dall'Acqua

L’antirinascimento di Gianni Baldo

... Gianni Baldo ci parla del nostro tempo, della sua angoscia, dell’affioramento continuo e dispersivo di presenze inquietanti ed inquiete che sono in noi. Ce ne parla con l’uso di materiale eterogeneo, improprio per fare arte, eppure vitale nella sua fisicità che si decompone, sfugge all’uso, al quotidiano, per piegarsi a suggerire ambiguità, aggressioni e tensioni in bilico tra simbolo ed allegoria. Rugosità, asprezze naturali di legni, carte, pelli, crete, in una rinnovata elaborazione alchemica, in un sapere prescientifico, rimandano a un laboratorio esoterico nel quale la ricerca dello spirito vitale della materia, più che la sua qualità specifica, viene distillata tra pensieri e riflessioni sul mondo e sperimentalismi cauti e casuali che non possono non avere l’incantata meraviglia del fare magico.
Baldo è un’alchimista affascinato per primo dai sortilegi che la materia fa scaturire; forse è l’ultimo alchimista, anche se ormai non crede che la pietra filosofale esista o sia raggiungibile. Lo è non tanto per l’attingere a materiali diversi dai colori e dai pennelli – conquista ormai consolidata dalle avanguardie storiche dell’arte contemporanea, con precedenti antichi nei polimaterici tardogotici - , quanto per lo stupore trasognato con il quale viene scoprendo, o facendo scoprire, le forme che emergono dall’informe materiale, dal caos della natura – che ovviamente oggi, riguarda anche la nostra interiorità -; quanto per l’essenzialità della sua ricerca che vuole essere totalizzante, attingere all’essenza delle cose, comunicare una scoperta in qualche modo eterna pur nella sua evanescenza. Questa ricerca lo assorbe talmente da non rimanere sconvolto dai mostri che affiorano, da non avvertirli come un orrore che tormenta, come incubi che atterriscono, perché il dar loro forma è già un atto, un gesto per rimuoverne gli aspetti e gli echi più inquietanti.
Dar ordine al mondo, dargli una forma chiara e leggibile sembra essere il compito che Baldo si è assunto. In questo “lavoro” è tale il dominio della materia che i simboli, i segni di altro – dal caos comunque che è disordine primordiale – perdono la carica dirompente, eversiva per piegarsi ad un linguaggio che è prima di tutto costruzione rigorosa, impaginazione sicura, rigida e ferrea salvaguardia di un’estetica che tutto domina, tutto piega, ad un piacere che è essenzialmente quello del fare artistico. Non ci si lascia coinvolgere dalle forme, ma le si domina con distacco, con l’abbandono dell’occhio e della mano che operano secondo rigide norme, non dissimili da quelle di una tradizione che ha radici antiche, proprie di quel linguaggio che chiamiamo “classico”.
È questo l’antirinascimento di Baldo, che proprio nel “tempo dell’angoscia”, nell’età del disordine e della dissipazione si pone contro per riaffermare con silenziosa tenacia che un ordine esiste, una forma è possibile, una lingua netta e precisa può frenare i balbettii disarticolati, le urla ed il riso scomposto.
È un antirinascimento capovolto: rappresenta infatti la solarità e la chiarezza, quasi aurorale, che la nostra epoca sfugge perdendosi in labirinti troppo oscuri o accecanti. Una ricerca dell’equilibrio che diventa poesia e che spesso rasenta il gioco. Un gioco serio, che richiede attenzione e concentrazione, che è lo spazio, riservato al fare non produttivo, quindi all’arte e alla immaginazione.

Parma, 26 giugno 1988
Dal catalogo della mostra "Gianni Baldo. Squarci nella memoria"




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